martedì 14 maggio 2024
28.09.2012 - REDAZIONE

Sanremo: suicidio di Maria Sacchetti. La madre lancia accuse contro l'ipocrisia.

Nella fattispecie quella dei commercianti della città dei fiori, che dietro i lustrini e i luccichii - perennemente - festivalieri, nasconderebbe un'anima nera fatta di "porte chiuse" in faccia a tanti giovani ed ai loro problemi lavorativi...

La tragedia si è consumata esattamente una settimana fa fuori dai confini nazionali. Una ventunenne di Sanremo, Maria Sacchetti, si è suicidata impiccandosi nella sua abitazione di Birmingham in Gran Bretagna dove risiedeva da poco più di un anno insieme alla madre Dragana Ivanovic, cittadina italiana di origine serba appartenente ad una famiglia agiata di Belgrado, la capitale della Nazione ex- Jugoslava.

La Polizia inglese ha archiviato in poco tempo il caso di facile soluzione ma le polemiche a Sanremo, città d'origine della vittima, sono esplose dopo che la mamma su Facebook  ha addossato la colpa del suicidio di Maria allo sfruttamento lavorativo cui la stessa è stata  sottoposta da alcuni operatori economici della città ligure. Figlia di un famoso fotografo sanremese, Maria rimase orfana di padre solamente a tre anni. La signora Ivanovic, politicamente impegnata nella destra cittadina nelle cui fila si è messa in luce più di una volta, tra molti sacrifici l'ha allevata, permettendole di frequentare la scuola.

Diplomatasi, Maria ha deciso di iniziare a lavorare per dare una mano in casa: assunta in un noto esercizio pubblico di Sanremo, in mano ad un personaggio  noto localmente, non le sarebbero stati corrisposti  gli emolumenti dovuti, secondo la signora Ivanovic, che, anzi, su Facebook, aggiunge: " pur avendo vinto la controversia con il datore di lavoro grazie ai sindacati non siamo stati risarciti giacché  il noto personaggio, con amicizie altolocate a Sanremo, non risultava essere il proprietario  del bar. Coperto dall'ipocrisia cittadina se la cavò corrispondendo a Maria solamente cinquecento Euro".

Maria prima di prendere la decisione di emigrare in Inghilterra  provò pure a lavorare come commessa in una pasticceria ma anche qua, accusa sempre la madre, trovò solamente delusioni. " In quella pasticceria tanti bei dolci ma uno sfruttamento intensivo. Maria doveva lavorare anche quattordici ore al giorno ma veniva pagata solamente per la metà. Non le fu mai fatto sottoscrivere alcun contratto per cui le nostre lamentele lasciarono il tempo che trovavano" denuncia sempre la signora italo- serba.

Da questa tristissima storia, quindi, la città di Sanremo, e nella fattispecie la sua classe imprenditoriale, escono con le ossa rotte. Ipocrisia, pregiudizio contro i figli degli stranieri, largo uso di manodopera in nero e sfruttamento dei più deboli, sono le gravi accuse lanciate larvatamente dalla mamma della povera ragazza suicidatasi.

I diretti interessati, la mamma fa nome e cognome, ovviamente negano preannunciando querele ma l'impressione è che dietro a questa triste storia esista la realtà di una città che all'apparenza sembra felice ma nella quale i problemi dei giovani, specialmente di quelli meno fortunati che non appartengono alla "creme" cittadina, sono enormi se non insormontabili. Una realtà, quindi, molto provinciale pur se Sanremo continua a pavoneggiarsi quale città cosmopolita.                         

SERGIO BAGNOLI


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